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(cose)

24/4/2017

 
Le cose non sono fatte di parole, come l'abituale uso del linguaggio tende a farci credere, ma sono fatte delle esperienze concrete che ne facciamo, riconoscendole in maniera attiva e pratica, come testimoniano i nostri abiti di risposta. Se vedo del fuoco che mi minaccia, tendo a fuggire, indipendentemente dal fatto che nomini “fuoco” ciò che vedo.
Nell'esperienza noi ravvisiamo le situazioni, così come fanno gli animali, senza che ciò voglia dire che essi le “ri-conoscano” né che le ricordino. Un animale sa come fare davanti al fuoco che avanza nella foresta, ma non sa propriamente cosa fa. Gli animali non hanno “cose” perché non le ri-conoscono, oltre che mediante abiti pratici, anche mediante parole. È con l'avvento della parola che si apre il mondo del ricordo, cioè la possibilità di evocare situazioni, in forma di “cose” appunto, non più o non ancora presenti, e così di invocarle, di immaginarle e di fantasticarle: tutto il mondo dello spirito si dispiega negli esseri umani e non li abbandonerà più. Neppure volendolo potrebbero tornare, o regredire, al semplice ravvisare animale. «Al fuoco!» diranno subito a se stessi e agli altri.
(Carlo Sini, “Anterem”, giugno 2011)

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